Mi sono ripromesso che avrei smesso di divorare i libri. Non scherzo. Ne potrei mangiare per colazione, pranzo e cena. Persino i miei sogni rimangono legati al libro che sto leggendo, sempre che sia un bel libro, e poi resto stordito per tutta la giornata.
Per questa ragione ho iniziato un percorso di disintossicazione - nel senso buono del termine - promettendomi per la decima volta che mi sarei limitato a leggere un paio di pagine al giorno, senza esagerare, anche per gustarmele meglio ed apprezzarne lo stile.
Ce l'ho fatta con i romanzi della Allende, con la saga del Il trono di spade, con Jane Eyre, e sono mesi che riesco a contenermi. Ero veramente fiero di me, anche perché sono meno distratto e rimbecillito. Poi, incuriosito da questo cavolo di romanzo - L'amica geniale di Elena Ferrante - sono ricascato nel tunnel. Letto con calma per giorni e giorni, un capitolo prima di dormire, per poi mandare tutto all'aria: divorate duecento pagine in una notte!
È dannatamente bello, non gli si può dire altro. È stato come piombare nella periferia di Napoli più di mezzo secolo fa, quando si parlava solo il dialetto stretto, e i bambini che proseguivano gli studi erano tre o quattro in tutto il quartiere. Tutti gli altri a lavorare: chi come fruttivendolo, chi come ciabattino, chi come muratore o salumiere; e le ragazzine, per lo più, ad aiutare in casa.
Ma è la storia delle due protagoniste che mi ha fatto rompere la promessa: Lenù e Lila sono due bambine che vogliono migliorare la propria condizione, elevarsi da quella realtà talmente degradante da essere in grado di incattivire gli animi più gentili. Sono le migliori a scuola, ma è Lenù a sforzarsi per cercare di essere al pari di Lila, un piccolo genio. E per tutto il romanzo è un continuo rincorrersi, una gara a chi raggiunge per prima il traguardo. Si percepisce la gelosia, la competizione tra le due bambine, ma soprattutto l'amicizia, quella vera. Quella che resiste al tempo, alla distanza e al desiderio di prevalere. Quella che porta a una profonda ammirazione nei confronti dell'altra, nonostante la personalità delle due sia molto forte e differente, e il carattere di Lila a dir poco indomabile. Sono vive, esistono realmente, sono due persone così come lo sono io. Non saprei come altro spiegarlo: si possono toccare con mano.
Le due bambine lentamente crescono e con loro si assiste al graduale cambiamento della città: si buttano giù gli alberi per far spazio al cemento, vengono aperte delle piccole attività, le persone hanno voglia di spendere, di adeguarsi alla musica, ai nuovi balli, alla moda del tempo.
Il romanzo copre giusto l'infanzia e l'adolescenza delle due protagoniste, per poi interrompersi sul più bello. La ragione è che esistono altri tre volumi (Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi resta, Storia della bambina perduta) in cui si racconta il resto della storia, che ancora non conosco e che intendo conoscere al più presto.
E il modo di scrivere di Elena Ferrante l'ho invidiato dall'inizio alla fine. È chiaro e semplice. A volte utilizza qualche termine napoletano (“strunz”), altre volte delle espressioni che sembrano uscite dai romanzi di un secolo fa. In ogni caso ci si ritrova nel mezzo dell'azione, come se la scena descritta si svolgesse sotto gli occhi del lettore. È anche vero che il romanzo l'ho trovato un po' “asettico”, nel senso che non suscita particolari emozioni: non fa né ridere né piangere, non mi dispiace per le protagoniste neanche quando capitano loro le peggiori cose, però è una meraviglia di libro. Una meraviglia. Si legge come bere un bicchiere d'acqua. Tanto che ho già voglia di rileggerlo… pazienza le promesse!
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Nike (domenica, 15 maggio 2016 17:14)
Da come l'hai descritto è sicuramente un libro da inserire nella propria lista dei libri ancora da leggere!
Il Lettore qualunque (lunedì, 16 maggio 2016 00:29)
Sicuramente! Non mi aveva mai attirato perché la copertina della vecchia edizione era inguardabile e sembrava che anche il libro non fosse un granché. Poi ho letto che era una cosa voluta, che il libro era tra i primi 10 del New York TImes, che Elena Ferrante è solo uno pseudonimo, e un sacco di altre cose che incuriosiscono. Però la sostanza c'è! E' un bellissimo romanzo :)